Mai cedere agli attacchi di panico – Ecco le strategie per gestire le emergenze

20 Febbraio 2019

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Mai cedere agli attacchi di panico: 8 milioni di italiani hanno sperimentato almeno una volta la sensazione di andare di colpo in tilt: le cause sono molte e non sempre controllabili, ma si può imparare a reagire.

La sensazione è di essere sul punto di svenire. Il respiro bloccato in gola, il cuore che batte a mille e il peso di un macigno sul petto. Si inizia a sudare anche se ci si sente gelare. Il tempo si dilata e si teme di impazzire. Poi tutto scompare, ma resta l’angoscia che tutto possa ricominciare da capo.

È la paura di avere paura, di andare in tilt nei momenti e nei luoghi più svariati: al supermercato, al cinema, in coda nel traffico, alla fermata dell’autobus. «Si chiama, come si sa, “attacco di panico” ed è un disturbo d’ansia in cui possono concorrere più cause: una predisposizione familiare, un trauma infantile o più recente o, più in generale, quel senso di precarietà che caratterizza il nostro momento storico», spiega la psicologa e psicoterapeuta Paola Vinciguerra, presidente dell’Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico (Eurodap) e direttore scientifico di Bioequilibrium.

Malessere profondo

Alcuni studi legano gli attacchi di panico a uno squilibrio chimico nel cervello, ma, perlopiù, le origini sono psicologiche. «Sono sintomi di un disagio interiore – spiega Vinciguerra -, per esempio scatenato dalla perdita di una persona cara o da problemi lavorativi». Se poi a questa condizione si unisce uno stile di vita stressante, non stupisce che, solo in Italia, a soffrire di questa sindrome siano non meno di otto milioni di persone.

Approccio integrato

La buona notizia, però, è che si può «guarire». Purché ci si affidi a uno specialista. «Bisogna chiedere aiuto senza vergognarsi – sottolinea Vinciguerra -. Si deve ricorrere alla psicoterapia, integrata al metodo “Emdr”, “Eye movement desensitization and reprocessing”». Si tratta di un metodo di desensibilizzazione e rielaborazione attraverso la stimolazione bilaterale del cervello, che Vinciguerra ha descritto, con la collega Isabel Fernandez, nel nuovo saggio «Il panico ospite improvviso» (Edizione Mimemis).

Il regista di questi movimenti è lo psicoterapeuta. «È una metodologia completa, che utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione ritmica destro-sinistra per trattare disturbi legati a esperienze traumatiche passate, recenti o presenti». I movimenti oculari dell’«Emdr» – aggiunge – «stimolano la produzione di onde elettromagnetiche, le stesse che produciamo fisiologicamente durante il sonno, permettendo il trasporto dell’informazione traumatica dalla corteccia prefrontale a quella parietale. Così conserveremo la memoria dell’evento, ma non rivivremo più l’attivazione allarmante che si verifca quando rimane intrappolata nella corteccia prefrontale». Dopo la stimolazione, perciò, si ricorda l’evento, ma si sente che fa ormai parte del passato.

Saper respirare

Nel frattempo si forniscono al paziente una serie di risorse per gestire i momenti d’ansia. «La prima cosa da fare è cercare di respirare in modo lento e profondo, espandendo la cassa toracica e aprendo il diaframma, concentrandosi sul respiro stesso», dice Vinciguerra. Spesso, infatti, gli attacchi di panico sono accompagnati da iperventilazione: la sensazione di «fame d’aria» spinge a immettere nei polmoni tantissima aria. Troppa. «E così non si fa altro che peggiorare le cose, in quanto si accelera ulteriormente il ritmo cardiaco e la pressione arteriosa – aggiunge lo psicoterapeuta Giovanni Porta -. È dunque importante consumare un po’ dell’ossigeno di troppo. Per esempio facendo piccoli gesti come aprire e chiedere le mani o camminando».

Percepire il tempo

«La maggior parte degli attacchi dura tra i cinque e i 20 minuti, al massimo mezz’ora – dice Porta -. È dunque importante, se abbiamo vicino qualcuno in preda a una crisi, spiegargli con voce calma che tra poco quella spiacevole esperienza finirà». Se invece si è soli, ci si può tranquillizzare lo stesso. «Si deve portare il pensiero su qualcosa di positivo, ripetendo a se stessi, come in una sorta di mantra, che non ci accadrà niente di brutto».

Imparare a distrarsi

«L’attacco, spesso, insorge per l’eccesso di attenzione che la persona dedica al controllo di se stessa – sottolinea -. Più soffro e più ascolterò con attenzione il mio cuore e il mio respiro. Però, portando l’attenzione allarmata su questi processi automatici, per natura non consapevoli, inevitabilmente sentirò qualcosa di strano». È quindi importante spostare l’attenzione verso l’esterno: «I passanti, qualche elemento curioso dell’ambiente, il paesaggio».